venerdì 29 aprile 2011

LE 6 BUGIE SULLA PRIVATIZZAZIONE DELL'ACQUA DEL NOSTRO GOVERNO

Dicono che la privatizzazione dell’acqua è il futuro.Ma il resto del mondo sta tornando all’acqua pubblica (vedasi Parigi).
Dicono che l’acqua privata è più economica di quella pubblica.
Chiedano in Toscana, dove l’acqua è privata da 15 anni e le tariffe sono le più alte d’Italia.
Dicono che la privatizzazione dell’acqua migliorerà i servizi.
Ma l’acqua pubblica va incontro ai bisogni dei cittadini  mentre i privati inseguono solo i profitti: chi li obbligherà a investire nelle infrastrutture?
Dicono che l’acqua rimarrà un bene fondamentale e inalienabile.
Ma cosa impedisce a un privato di togliere il servizio a chi non può pagare una bolletta? Puoi restare una settimana senza acqua?
Dicono che con l’acqua privata non ci saranno discriminazioni
Ma un privato non ha interesse a raggiungere zone isolate o difficili da collegare.
Dicono che aprendo al mercato privato la concorrenza migliorerà i servizi.
Ma le grandi società francesi sono già pronte a spartirsi il bottino “Italia”. Altro che concorrenza!”
Non solo, negli ultimi giorni il governo, dopo aver abrogato tutte le leggi in materia di nucleare in Italia (per affossare il terzo Quesito referendario), sta pensando di abrogare anche le leggi sulla privatizzazione dell'acqua affossando di fatto anche i primi due Quesiti. lo scopo? non far raggiungere il quorum al Referendum del 12 e 13 Giugno che vedrebbe (quasi sicuramente) la vincita dei SI al quarto Quesito, quello sul Legittimo Impedimento che blocca i processi al Premier Berlusconi.  Ma non è detta l'ultima parola, infatti una vecchia norma potrebbe salvare la consultazione di Giugno inquanto l'ultima Parola è della Cassazione e la stessa dovrà prendere in considerazione vari aspetti:
  1. Perchè milioni di persone hanno firmato per chiedere il Referendum
  2. Perchè il governo ha ritirato le norme per far saltare il Referendum ( e qui stranamente Berlusconi ci ha aiutato, perchè nell'incotnro con il Premier francese ha dichiarato ai media che ha ritirato le norme sul nucleare appunto per far saltare il Referendum! Non per oltrepassare il Nucleare! )
  3. In conseguenza al punto precedente una norma prevede che in questi casi l'abrogazione di una norma soggetta a Referendum popolare debba in qualche modo portare ad un'altra norma che sostituisca la precedente specificandone i motivi e che soprattutto vada ( in poche parole ) nella direzione opposta alla norma precedente ma parallela al quesito Referendario (e ciò non è accaduto, anzi, attualmente l'Italia è senza un piano energetico!!! )
Insomma, i presupposti affinchè la Cassazione confermi tutti e 4 i Quesiti Referendari ci sono e siamo fiduciosi. Ai posteri l'ardua sentenza...

venerdì 22 aprile 2011

IL GOVERNO TENTA DI SEPPELLIRE IL REFERENDUM

Visti gli ultimi sondaggi che confermavano un quorum oltre il 55% per i prossimi referendum di Giugno, il governo prende le difese mandando allo sbando le politiche energetiche nazionali e non solo. E' nostizia di pochi giorni fà, infatti,  il ritiro di tutte le norme che reintroducevamo il nucleare in Italia, facendo decadere il terzo quesito referendario. Non solo, notizia di poche ore fà, è quella che il governo ha intenzione di ritirare anche il cosiddetto decreto Ronchi che privatizza l'acqua, facendo così decadere i primi due quesiti referendari facendo rimanere solo quello sul Legittimo impedimento. Il PdL e Mr. B. hanno paura del popolo, hanno paura del Referendum e cercheranno fino all'ultimo di far saltare tutto il lavoro fatto finora dall'Idv e dai comitati civici. Aiutaci anche tu a pubblicizzare il Referendum!

Francesco Ruzzo

giovedì 21 aprile 2011

Il Sassolino nella scarpa - Num.9 Anno1 (Aprile 2011) x3

Un sassolino in meno nella scarpa del nostro caro vigile Giovanni Sardo che ha conseguito la laurea in scienze politiche in data 11.04.2011.
Auguri Giovanni!!!
La Redazione Tutta

Abbiamo ricevuto delle critiche per il sassolino nella scarpa del numero dedicato all’Unità d’Italia. Qualcuno si è risentito delle parole che abbiamo utilizzato, “nullità d’Italia”, per definire la scarsa attenzione rivolta dal nostro comune verso tale ricorrenza. Ci hanno tacciato come “negativisti” che non hanno voluto mettere in risalto le cose che invece sono state organizzate per il 17 Marzo scorso. Ahi noi facciamo ammenda, e dando a Cesare quel che è di Cesare, dobbiamo dire , ebbene si: che in quella giornata i bambini della scuola elementare hanno cantato l’Inno d’Italia tenendo tra le mani una bandierina tricolore che avevano costruito loro stessi…  
Viva l’Italia.

Stando alle notizie apparse di recente su un quotidiano locale, voci sempre più insistenti indicano come possibile l’insediamento di un cementificio nell’ASI di Pietramelara:
…almeno la finiranno di dire che in quella zona non è stato previsto un piano di sviluppo ??!!

SPRECO DI DENARO PUBBLICO…

Vi ricordate un paio di anni fà i manifesti della minoranza consiliare? Si accusava l’amministrazione ed in particolare un assessore che avrebbe fatto asfaltare Via Mancini fino ad arrivare alle proprietà sue e dei suoi parenti. Mi domando: si dovrebbe scandalizzare ulteriormente visto che la maggioranza Consigliare sta terminando le condotte idriche e l'impianto di illuminazione proprio in quella strada, rovinando e rendendo inutile il precedente lavoro di asfaltatura. La minoranza sta facendo qualcosa o guarda impassibilmente all’operato della maggioranza consiliare del nostro comune? E come se non bastasse, oltre al danno, anche la beffa!! Ebbene si cari lettori, perché da quando sono state realizzate le condotte idriche su tutta Via Mancini ci sono giunte decine di segnalazioni da parte di cittadini pietramelaresi che abitano sui cosiddetti Quartieri Svizzeri: da settimane, in concomitanza ai lavori, la pressione dell’acqua nelle abitazioni è notevolmente diminuita!!! E continuando a parlare di spreco di denaro pubblico, ricordando il proverbio che dice: chi nasce tondo non può mai morire quadrato, come dimenticarci della nostra tanto martoriata rotonda?? dopo i molteplici interventi chirurgici subiti, tali da sembrare un accanimento terapeutico, si riuscirà prima o poi a far ‘quadrare’ i conti pubblici??

Giovanni Del Giudice

Il Sassolino della Regina - Num.9 Anno1 (Aprile 2011)

“…Poi disse alla donna: Moltiplicherò le doglie delle tue gravidanze; partorirai i figli nel dolore, tuttavia ti sentirai attratta con ardore verso tuo marito, ed egli dominerà su di te”. “Le donne nelle riunioni tacciano, perché non è stata affidata a loro la missione di parlare, ma stiano sottomesse come dice la legge. Se vogliono essere istruite in qualche cosa, interroghino i loro mariti a casa, perché è indecoroso che una donna parli in un’assemblea”. Versetti “coranici”? Neanche per idea, la prima citazione arriva dal Libro della Genesi, la seconda dalla Prima Lettera ai Corinti. Come si evince cari “sassolini” sotto ogni latitudine o Fede, il ruolo della donna fin dai tempi della prima donna, Eva, fu sempre subalterno all’uomo. Per millenni noi maschietti ci siamo illusi di essere il “sesso forte” per intelligenza, cultura, natura e quant’altro. Invece è la compagna della nostra vita quella che si è rivelata più forte, sia geneticamente che moralmente. La donna “angelo del focolare” tanto cara, per molto tempo dedita alla famiglia, alla casa, si è trasformata nell’altra “metà” del nostro mondo, raggiungendo la parità sessuale, l’istruzione, una propria multiforme centralità nelle società moderne. Non dobbiamo scomodare il mitico Sessantotto per tali cambiamenti. Il suo percorso è stato graduale, irto di ostacoli, sofferenze, ma inarrestabile. Al fianco di grandi uomini ci sono state grandi donne, nella storia come nella cultura, nelle arti, nelle scienze ecc. Mi è capitato di leggere ultimamente un saggio della professoressa Benedetta Craveri (nipote di Benedetto Croce): “Amanti e regine” – Adelphi edizioni € 26,50 (vi è anche un’edizione economica a metà prezzo), nel quale è riportato il pensiero di re Francesco I di Francia: “Una corte senza donne è come un giardino senza fiori”. Le donne che fossero mogli legittime o amanti, ne sono pieni anche i principali testi sacri delle tre maggiori religioni monoteiste, hanno svolto un ruolo fondamentale già nel mondo antico: dall’antico Egitto, alla Grecia classica o nella civiltà romana. Poi arrivò il Medio Evo, con le sue parole sulla fine del mondo, che vide la donna subire un nuovo forte “declassamento” per poi riaffermare il proprio ruolo nel Rinascimento, seguito da un altro periodo di subalternità durante l’epoca della Controriforma. In questi mesi come non pensare al ruolo della donna nel processo risorgimentale, troppo spesso dimenticato? Ottocento e Novecento sono stati secoli nei quali esse hanno prima timidamente e poi sempre più coraggiosamente voluto e dimostrato il loro nuovo ruolo. Vi sono donne in tutti i settori, dal militare al politico, con varie sfumature, indubbiamente, per cultura e religione. Un tempo la donna non poteva andare a scuola, fare certi lavori, ecc., secoli orsono nelle popolazioni pre-islamiche o indo-cinesi,  veniva uccisa alla nascita. C’è da dire, comunque, che non sempre vicino a grandi uomini vi sono state altrettante grandi figure femminili, spesso costoro hanno voluto o dovuto sostituirsi agli uomini in tutto e per tutto, spesso sbagliando. In politica la donna quando veramente ha l’attitudine, dimostra sorprendenti capacità superiori a quelle degli uomini. Quando si parla di “quote rosa” c’è da vergognarsi! Non bisogna tralasciare nella storia come nell’attualità, quelle donne che in presenza di un compagno “debole” ambiscono a raggiungere il potere, immedesimandosi in lui, ed in questo gioco “perverso” dei ruoli che le nostre compagne commettono l’errore più grave, rendendosi ridicole, invadenti, antipatiche. Nei tempi odierni noi uomini siamo impauriti dalla loro affermazione, sia in campo professionale che affettivo, sembriamo degli “eunuchi”, rifugiandoci nella cura ossessiva dell’immagine, rimanendo in fondo degli immaturi, delle macchine “riproduttive” ed abbiamo perso anche il ruolo di padre così fondamentale per i nostri figli. Un vero rapporto paritario tra uomo e donna, siano essi famosi o persone della nostra quotidianità, arriverà quando sapremo rispettarci vicendevolmente e ridere nei nostri tanti difetti….Cari sassolini un affettuoso saluto all’altra metà del cielo…

Giuseppe Polito

BRUCIARE 350 MILIONI DI EURO PER FARE UN FAVORE A BERLUSCONI

Il 12 e 13 giugno ci saranno 4 Referendum:
Uno in difesa della Giustizia, contro il Legittimo Impedimento
Due in difesa dell’Acqua Pubblica
Uno contro il ritorno al Nucleare
C’era una data perfetta per andare a votare: il 29 Maggio, insieme alle amministrative. Senza costi aggiuntivi per lo Stato, cioè per tutti noi. Invece, il Governo ha spostato i referendum a Giugno, sprecando circa 350 milioni di euro di soldi pubblici. 350milioni circa diviso i circa 8mila Comuni d’Italia fanno: 40mila euro circa per ogni Comune. Cosa poteva farci con questi soldi il Comune di Pietramelara? A voi la riflessione…
Qual è il loro obiettivo? Spingere i cittadini a non andare a votare, al contrario di quello che dice la Costituzione: garantire il massimo di partecipazione nelle consultazioni elettorali. Una rapina ai danni di tutti noi per finanziare una truffa alla democrazia. I referendum sono l’unica via per mandare a casa Berlusconi e il suo modo di fare politica, democraticamente, senza giochi di palazzo. Lui lo sa, e per questo cercherà do ostacolarli. Facciamo sentire la nostra voce. Il 12 e 13 Giugno andiamo tutti a votare SI ai quattro referendum!!!

Il Commissario cittadino IdV
Francesco Ruzzo

Il Sassolino nella Cultura - Num.9 Anno1 (Aprile 2011)

Chiesa di San Cataldo
A Roccaromana, prima ancora di San Cataldo, si venerava come patrono San Michele Arcangelo. Era un santo particolarmente onorato dai Longobardi che, dal momento della loro discesa in Italia nel 568 e 569, costruirono nei luoghi dove si insediarono numerose chiese. San Michele fu il protettore fino al 1543, quando Lucrezia Arcamone, appartenente alla nobile famiglia dei De Capua, acquistò le terre di Roccaromana. Lucrezia era la cugina dell' Arcivescovo di Taranto (città avente come patrono San Cataldo) Mons. Petrucci, e fu coinvolta insieme a tutta la famiglia nella venerazione del santo a tal punto da importare il suo culto a Roccaromana. Gli dedicò così una chiesa che fu eretta  nel 1543 nei pressi della originaria cappella di San Michele che apparteneva al palazzo feudale. Grazie ad un documento del 9 giugno del 1728 e copiato nel 1945 dall'allora prete don Antonio Rossi, si evince che la chiesa era lunga 68 palmi (17 metri circa) e larga 22 (7 metri), che aveva due ingressi ed era chiusa a volta con un'arcata centrale, sulla quale vi era marchiato lo stemma del Comune di Roccaromana. La chiesa voluta da Lucrezia Arcamone mantenne le sue funzioni fino al 1890, quando i Roccaromanesi decisero di edificarne una nuova da sostituire a quella vecchia, che versava in uno stato di decadenza. Il parroco di quel tempo don Raffaele Del Gizzo costìtuì subito un Comitato, il quale ebbe il compito di raccogliere i fondi necessari e di organizzare i lavori. La messa in opera fu affidata  all' ingenger Vincenzo Capaldo di Teano e il progetto prevedeva la costruzione della nuova chiesa sullo stesso luogo ove sorgeva quella esistente, per un costo complessivo di 29.580 lire. Fu così che, con la benedizione del Vescovo Giordano Alfonso Maria nel 1892, si diede inizio all' edificazione. La chiesa, ulteriormente arricchita dall'affresco sull'altare maggiore realizzato dal famoso pittore napoletano Vincenzo Galloppi, fu inaugurata nel 1926. Negli anni seguenti furono apportati dei lavori di ristrutturazione, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale (a causa di alcuni danni provocati dagli attacchi alleati contro i tedeschi stanziati in località Starza) e sul finire degli anni 60'. La situazione, da allora, rimase inalterata fino al 2008 quando, a seguito delle denunce della Curia di Teano riguardo il suo stato precario, fu concesso dalla C.E.I. un finanziamento per il recupero dell'edificio di 152.500 euro, cui si aggiunse un piccolo contributo della Diocesi. Grazie a questa sovvenzione è stato possibile ricostruire interamente la copertura e ristrutturare la facciata e le opere strutturali. Attualmente si sta provvedendo alle tinteggiature interne.

Antonio Marcello

LA REALTA’ SUPERA SEMPRE LA FANTASIA

Lo diceva un filosofo e ne sono  pienamente convinto anche io. Asserisco che nella fantasia tutto ha una propria linearità, un inizio e una fine. Nella realtà ,quindi nel nostro vivere quotidiano, è spesso tutto talmente assurdo e grottesco, che alcune  cose accadono e basta. Accadeva qualche mese fa, a Bastia Umbra ,dove venne lanciato il nuovo progetto politico  FLI, riferimento del presidente della Camera Fini, dove l ‘ideatore del progetto Barbareschi leggeva i pilastri del nuovo soggetto politico e,a sentirlo parlare di amare la patria civile , generosa e accogliente, provavo sincero piacere .Parlava di un’Italia intransigente contro la corruzione ,contro tutte le mafie, che promuove la legalità , l’etica  pubblica, che difende e valorizza  l’ambiente, il paesaggio , le bellezze naturali. Un’Italia severa per chi viola le leggi, attenta alla sicurezza dei cittadini. Diceva ancora di volere un’Italia che combatte l’abusivismo,l’evasione fiscale , i parassiti e i furbi  che si annidano in tutti i settori  del paese. Parlava anche di premiare la dignità del lavoro e asseriva che la politica non  dovrebbe essere solo scontro e propaganda, ma si dovrebbe ispirare agli interessi dei cittadini.  La coscienza , quella di Barbareschi trasudava lacrime sul palco del battesimo finiano di Bastia Umbra e s’indignava contro Silvio:” ha trasformato lo stato in un bordello”. Dopo qualche settimana dall’evento, il telefono di Silvio non faceva in tempo a squillare,che il premier : “Luca hai bisogno di qualcosa?”. “ Di appalti televisivi! , malignano i finiani. Qualche settimana fa , dopo che la rai gli aveva approvato l’acquisto di due fiction   da lui prodotte, passa di nuovo nel PDL. Solo che  il ministro La Russa dice: se Luca passerà di nuovo nel partito, cinquanta parlamentari amici  lasceranno il gruppo. Non dimentica infatti ciò che Barbareschi aveva detto del cavaliere,ovvero che rappresenta la corruzione e l’anti democrazia, quindi gruppo misto, non l’universo azzurro per il grande inventore di Futuro e Libertà, che proprio a Barbareschi deve il suo nome altisonante. Sia  chiaro, Barbareschi non è il solo a cambiare casacca. Mai come stavolta ,140 deputati nel GRANDE HOTEL MONTECITORIO, dotato di porte girevolissime che non smettono di roteare, vagano fra un gruppo e l’altro, entrano ed escono dai partiti, vanno e tornano, tradiscono e si pentono, rilanciano e arretrano , ieri con Fini contro Silvio, ora con Silvio contro Fini, domani chissà! La transumanza parlamentare è frenetica ma non finirà qua. Mentre rifinisco l’articolo, mi passa tra le mani  uno  scritto  di Giorgio Bocca in cui parla della missione dei politici, che non osano più parlare al cuore e si perdono in congetture giuridiche. E il loro compito principale è trasferire denaro pubblico nelle tasche dei produttori e dei costruttori, far muovere gli appalti, distribuire finanziamenti pubblici  alle lobby, quindi con queste mercuriali faccende,le diversità politiche , gli ideali, il sol dell’avvenire  cedono il campo agli affari. Difficile il mestiere del politico. Dovrebbe far  funzionare lo stato , la sua economia, i suoi servizi spesso in concorrenza con i produttori e con i commercianti, invece è simile a uno sciame furioso d’api tutte alle ricerca del loro miele. A noi cittadini che cosa rimane? La differenza antica tra sinistra e destra, fra sinistra riformatrice progressista e la destra conservatrice e retriva non ha più senso. Tutti siamo allo stesso tempo per la conservazione e per la riforma, per la legge e per l’ordine. A me sembra che questi nostri tumultuosi anni si sono persi sotto l’egemonia imperante di pensatori cinici, contro ogni spiraglio di etica e di passioni civili. Ambrose Bierce ha scritto la più bella definizione di cinico:“Canaglia la cui limitata visione della vita lo spinge a vedere le cose come sono, non come dovrebbero essere”.

Saverio Zeppetella

Editoriale - Num.9 Anno1 (Aprile 2011)

Ben ritrovati cari lettori e buon inizio di primavera. Siamo arrivati al 9° numero de 'Il Sassolino' e apro questo di aprile spendendo due parole per l'Associazione di base Idv 'Pietramelara in movimento' (di cui anche il sottoscritto fa parte). In questo ultimo mese l'Associazione ha portato avanti due iniziative molto importanti, come avete potuto notare attraverso diversi gazebo presenti in piazza. La prima iniziativa riguardava la campagna informativa per i referendum del 12 e 13 Giugno (acqua pubblica, nucleare e legittimo impedimento), la seconda la raccolta firme contro il rincaro dei prezzi del 20% dei biglietti Unicocampania. L'associazione 'Pietramelara in movimento' continuerà con le suddette iniziative ancora per qualche settimana e inoltre ne porterà avanti un'altra per Pietramelara nel mese di maggio. Da segnalare che il gruppo si è arricchito di nuovi elementi e simpatizzanti e che Francesco Ruzzo è stato nominato Commissario Cittadino. Voglio inoltre avvisarvi che a breve sarà pronto anche il blog de 'Il Sassolino', che avrà lo scopo di offrirvi l'informazione che già conoscete ogni mese in forma cartacea, ma anche in forma quotidiana e on-line. Infine approfitto ringraziando tutte quelle persone che si sono complimentate con noi per il numero del mese scorso, incentrato sull'Unità d'Italia. Da parte nostra ci è sembrato doveroso dedicare un intero numero ai 150 anni dell'Unità nazionale.

Andrea De Luca

martedì 19 aprile 2011

Associazione culturale "L'Aquila" - Roccaromana

In occasione delle celebrazioni nazionali per l'Unità d'Italia e per il 65° anno della Repubblica, l'associazione culturale "L'Aquila" organizza, per il 2 GIUGNO, una gita di partecipazione alla parata militare che si svolgerà a Roma per celebrare la festa della Repubblica. Oltre alla sfilata militare che attraverserà i fori imperiali davanti la presenza del Presidente della Repubblica, dei Ministri e dei 26 Capi di Stato europei, si visiteranno anche i Giardini del Quirinale, che durante l'anno vengono aperti al pubblico solo in questo giorno. Si visiteranno inoltre l'Altare della Patria, Piazza Venezia e Piazza Trinità dei Monti.
Partenza da Largo Ponte alle ore 4 e 30 e da Roma alle ore 19, con arrivo previsto per le ore 22 circa. La quota di partecipazione è di 13 euro; gratis per i bambini fino a 5 anni.
L'iscrizione entro il 30 aprile.
il Presidente
Sergio di Muccio

Antonio Marcello

Campagna referendaria Idv Pietramelara



Il 12 e 13 giugno gli elettori italiani saranno chiamati ad esprimersi su 4 quesiti importantissimi: i primi 2 quesiti sono per fermare la privatizzazione dell'acqua, il terzo è per fermare l'istallazione di nuove centrali nucleari in Italia, il quarto quesito è per abrogare il Legittimo Impedimento.

Il circolo IdV Pietramelara in Movimento
Il suo organo di informazione: Il Sassolino (e le sue reti)
Saranno, e sono, già attivi nella campagna referendaria.

Voce: Francesco Ruzzo Presidente del circolo IdV Pietramelara

Organigramma de Il Sassolino



Il direttore de Il Sassolino cartaceo, Andrea De Luca, ci spiega l'espansione sul network de Il Sassolino, all'inizio nato come volantino politico del circolo Pietramelara in Moviemento di cui Francesco Ruzzo è il Presidente.

Voce: Andrea de Luca

Rincaro dei prezzi del 20% biglietti e abbonamenti UnicoCampania



Le federazioni giovanili dei partiti del centro sinistra hanno promosso una raccolta firme contro questa delibera regionale. Firma e Fermali!

Voce: Antonio Marcello

Messaggio di fine anno



Messaggio d'auguri alla cittadinanza pietramelarese per un 2011 da vivere con serenità.

La redazione

Il Sassolino nella scarpa - Num.8 Anno1 (Marzo 2011)

Molti Comuni hanno organizzato manifestazioni e festeggiamenti in occasione della giornata celebrativa
dell’Unità d’Italia, il nostro invece, per distinguersi, ha pensato bene di autocelebrarsi “Nullità d’Italia”.

ARRIVO DI GARIBALDI A NAPOLI: TESTIMONIANZA

Ricordo che mia nonna mi raccontò quanto le aveva narrato sua madre a proposito dell’impresa di Garibaldi e di quando quest’ultimo con tutto il suo seguito giunse a Napoli e dopo una passeggiata trionfale attraverso la città la città giunse in piazza Spirito Santo e si affacciò da palazzo d’Angri per salutare i napoletani: Tutti i balconi delle case circostanti erano pieni di cittadini e fanciulle che erano state con fermezza pregate di indossare sui vestiti fasce tricolore in segno di gioia.
Quelle fanciulle, e non solo loro però, piangevano non per la gioia ma di dolore per quanto era accaduto e quanto ancora sarebbe avvenuto.
Avevano ragione. 

A.C.
La Redazione

NEL MEZZO DEL CAMMIN DI NOSTRA ITALIA UNITA,

augurandomi che  così possa restare, anche se sulla carta, per almeno altri 150 anni, fosse non per altro di provare ad unirla per davvero, curiosando in Internet tra siti vari, wikipedia e wikiquote, mi imbattei in una citazione di Massimo Taparelli, marchese d'Azeglio, e non quella più famosa secondo la quale egli disse: “Abbiamo fatto l'Italia, ora dobbiamo fare gli italiani ”, ma la seguente:
A Napoli, noi abbiamo altresì cacciato il sovrano per stabilire un governo fondato sul consenso universale. Ma ci vogliono e sembra che ciò non basti, per contenere il Regno, sessanta battaglioni; ed è notorio che, briganti o non briganti, niuno vuol saperne. Ma si dirà: e il suffragio universale? Io non so nulla di suffragio, ma so che al di qua del Tronto non sono necessari battaglioni e che al di là sono necessari. Dunque vi fu qualche errore e bisogna cangiare atti e principi. Bisogna sapere dai Napoletani un'altra volta per tutto se ci vogliono, sì o no. Capisco che gli italiani hanno il diritto di fare la guerra a coloro che volessero mantenere i tedeschi in Italia, ma agli italiani che, restando italiani, non volessero unirsi a noi, credo che non abbiamo il diritto di dare archibugiate, salvo si concedesse ora, per tagliare corto, che noi adottiamo il principio nel cui nome Bomba (Re Ferdinando II) bombardava Palermo, Messina ecc. Credo bene che in generale non si pensa in questo modo, ma siccome io non intendo rinunciare al diritto di ragionare, dico ciò che penso.”
Non era mica un rivoluzionario, questo uomo che fu  primo ministro del Regno di Sardegna dal 1849 al 1852, a cui succederà subito dopo e nello stesso ruolo Cavour, e pure le sue parole fanno intuire che nel processo di unificazione dell’Italia, qualcosa non andò per il verso giusto. Il popolo invasore, che volle iniziare una vera e propria guerra, mai dichiarata, verso l’altro popolo, forse aveva sottovalutato che questo popolo, il nostro popolo, quello che ahimè d’allora fu definito meridionale,  non condivideva ne le volontà ne le esigenze che spinsero i Piemontesi ad annettersi alle terre e alle casse degli altri Regni Italici. Lo stesso D’Azeglio era contrario ad un’unificazione a sola guida piemontese ed auspicava la creazione di una confederazione di stati, cosciente delle grandi differenze tra i vari regni d'Italia e deciso a rispettare i legittimi sovrani, e per questo fu poi duramente attaccato dai Mazziniani e da Cavour che infine lo costrinse a dimettersi. Del resto essendo all’epoca il Regno delle Due Sicilie il più ricco, il più fertile, il più industrializzato, quale vento risorgimentale poteva mai udire tanto da poterlo indurre ad abbracciasi le croci dei sabaudi indebitati fino al collo e malati di pellagra. Si ipotizza che lo stesso Cavour decise, come diremmo oggi, di “scendere in politica”, perché da rilevante  proprietario terriero, non versasse in ottime condizioni economiche, e che una volta dentro, estese importanti relazioni d’amicizia e d’affari con banchieri, il che gli consentì di operare da una posizione privilegiata rispetto agli altri agricoltori e di cogliere importanti opportunità di guadagno. Il consenso politico non gli mancava, e nonostante ciò, per replicare all’elezione di importanti avversari politici il conte sviluppò un’offensiva politica incentrata sull’ordinamento giudiziario che la crisi economica non gli permetteva di concentrare altrove. A sentir ciò, non so di preciso dove fosse situato Cavour di cui Camillo Benso ne era Conte, ma a dire il vero non credo fosse poi molto distante da Arcore. Per paragonare forse quello che successe allora ai giorni nostri, è come se di due società quotate in borsa (tralasciamo gli accordi Chrysler-Fiat) quella più indebitata decida di prendersi quella più forte, è impensabile, ovvero, possono fondersi, ma sicuramente per volontà della più forte, e probabilmente in seguito alla fusione verranno licenziati molti dipendenti, ma della società più debole; invece quello che successe allora fu il contrario, lo stato più debole, in crisi, decise di invadere quello forte e nonostante anni di guerre alla fine riuscì nel suo intento di assoggettarlo, umiliando per sempre e da allora quelle genti che definì tutte, indistintamente, “Briganti”, primitivo aggettivo sostituito dall’odierno “Terroni” solitamente utilizzato per definire noi Italiani del Sud. Come fu possibile tutto questo? Non so. Oggi quando succede qualcosa che non possiamo spiegarci, spesso usiamo dire che ci sono dietro dei poteri occulti, i servizi segreti. Chi sa?! Sta di fatto che anche Falcone e Borsellino condussero studi secondo i quali si stabilì quasi per certo  che prima dell’Unità d’Italia non vi erano organizzazioni criminali così bene organizzate sul nostro territorio come lo sono diventate le attuali mafie, proprio perché, a differenza di queste, non erano, fino ad allora, così ben infiltrate nelle classi dirigenti. Qualche libro di storia, forse anche di scuola media, ci riferisce degli accordi presi da Garibaldi, un volta sbarcato in Sicilia, con gente poco raccomandabile del posto al fine di sovvertire il potere del Re, ma questi intrecci passano sempre come indispensabile strumento utilizzato dal valido condottiero per raggiungere il nobile scopo di liberare il popolo dall’oppressione del tiranno. Ma se così fosse, se stavano così male quelle genti sotto i Borbone, come ci ha “frettolosamente” raccontato Benigni dal palco dell’Ariston di San Remo, perché questa guerra durò così tanto? Non mi sembra che l’unanime rivolta voluta e condivisa interamente dall’oppresso popolo Tunisino nei confronti del regime di Ben Ali sia poi durata così tanto? E soprattutto perché i libri di scuola ci restituiscono solo  Mazzini, Garibaldi, Mameli, come eroi unici ed unitari del nostro risorgimento, e non ci raccontano mai gli scempi che inequivocabilmente, una guerra  d’invasione comporta? Ogni guerra è dura, anche quella tra nordisti e sudisti in America è stata dura, ma alla fine gli americani hanno potuto riconoscere tutti i propri eroi, tanto i nordisti quanto i sudisti. Perché a scuola, e soprattutto dalle nostre parti, non ci parlano mai dei martiri che si sono opposti con la resistenza ai soprusi perpetrati dagli invasori alle loro terre e alle loro donne? Eppure guardate che potrebbe tranquillamente trattarsi dei nonni dei nostri nonni!! Perché, se si sentiva così condivisa da nord a sud quell’idea risorgimentale di vedere l’Italia una e unita, da immediatamente dopo in poi si sentì altrettanto forte il bisogno di differenziare, in ogni campo, e in ogni modo, l’Italia del nord da quella del sud,  gli Italiani del nord dai Meridionali?   Se oggi è giustificato provare vergogna quando un premier e un parlamentare definiscono“eroe” un mafioso come Mangano, perché poi, sapendo che Garibaldi era un “professionista” delle rivoluzioni e che i tra i mille che arruolò vi furono anche avanzi di galera incrini a soprusi ed azioni criminali operate spesso a danno di donne e bambini, bisogna considerarlo per forza un eroe? o una sorte di messia? anziché definirlo un valoroso condottiero, forse abile strumento in mano a chi aveva pensato bene, sfruttando l’idea risorgimentale, di unire l’Italia anche per i propri interessi, cioè una forma antica del nostro moderno “predellino”. Lo stesso Garibaldi, forse pentitosi, nel 1868 scrisse in una lettera ad Adelaide Cairoli: «Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò, non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio.»
Difficilmente i libri di scuola risponderanno mai a queste domande, perché forse non conviene a nessuno sapere una verità che possa oggi, a distanza di anni,  risultare scomoda. Forse per chi crede, come lo credevo io quando andavo a scuola, che per parlare di risorgimento potesse essere sufficiente imparare a memoria quelle poche paginette, così  tanto per compiacere l’insegnante, quello che è scritto nel libro di testo può anche bastare. Ma se invece si vuole approfondire quello che per molto tempo è stato nascosto, ci sono molti libri da poter consultare, e tra questi vorrei consigliare, (chiedendo scusa se mi impadronisco dello  spazio culturale che sul nostro giornalino viene curato dall’ottimo  Giuseppe Polito) “TERRONI” di Pino Aprile, in cui l’autore pugliese descrive i risultati  dei suoi anni di laboriose ricerche, citando tutte le sue fonti storiche ed i documenti ufficiali.  Credo sia fondamentale riscoprire le proprie origini, le proprie dignità, i propri dialetti, le diversità proprie della Nostra Terra, anche quelle geografiche, che proprio per questo la rendono unica al mondo e portarle finalmente in dote, e non sottrarle, all’Unità d’Italia, e affinché questa possa esserlo davvero e per tutti, bisogna doverosamente riconoscere gli errori,  le superficialità, i pregiudizi e le omissioni di questi primi 150 anni di storia. Oggi, a 150 anni di distanza da quella che fu la data storica che vide l’Italia unita, credo che l’Unità d’Italia sia ancora una missione incompiuta, proprio perché, secondo me, fatta l’Italia non si sono ancora mai fatti gli Italiani, e forse non basteranno altri 150 anni per farli, finché ci proporremo sempre divisi in opposte fazioni su ogni tema, anche sui problemi che ci accomunano tutti, da Nord a Sud, e che rischiano di farci diventare, tra non molto, noi tutti i Meridionali D’Europa. Per questo, per trovare insieme la forza di reagire, sono convinto che l’Italia, oramai, deve essere e rimanere unita, non può non essere neanche solo immaginata  non tale, ma credo che sia difficile raggiungere mai questa Unità di Popolo, perché i segnali che riceviamo quotidianamente dalla politica vanno altresì nella direzione opposta di una secessione, forse già in atto, esigentemente  richiesta da fanatici, tanto del nord quanto del sud, sottovalutata tanto da destra quanto da sinistra, con il paese che  sembra sempre più spaccato, tant’è che per la ricorrenza di questo cento cinquantenario spesso alla parola festeggiamento si sostituisce la parola celebrazione, più opportunamente usata per ricordare la grande opera di un ormai defunto. Mi piacerebbe, invece, che sul culmine dei festeggiamenti, il nostro Presidente della  Repubblica, magari sentendo ancora nelle orecchie le splendide parole di Mazzini sul senso della Patria e rispolverando un po’ di quel dialetto napoletano, che secondo me si  ricorda ancora bene, dica:
“ E mò basta!! Mettimc all’opera”.
Scusandomi se vi sono sembrato noioso, cito per l’ultima volta Massimo D’Azeglio, per dire:
Credo bene che in generale non si pensa in questo modo, ma siccome io non intendo rinunciare al diritto di ragionare, dico ciò che penso.

Vincenzo Minichino

UN TERRONE “MELANCONICO”

Se penso che la Carboneria fu fondata a Napoli durante i primi anni dell'Ottocento su valori patriottici e liberali, se penso ai Vespri Siciliani, se penso alla prima ferrovia Napoli-Portici, se penso che la prima raccolta differenziata  fu architettata e poi adottata a Napoli, vengo assalito da una tristezza e una rabbia perchè mi vedo appartenere ad una zona d'Italia  che rappresenta il "problema" in assoluto della stessa. Sfuggendo ad ogni forma di campanile, ed oggi, nel giorno del 150esimo anniversario dell'Unita d'Italia, sarebbe proprio grave, perchè rischierei di ritrovarmi come un pesce fuor d'acqua, vorrei chiedere a tutte le genti del sud, alle classi dirigenti di ieri, oggi e domani : ma un secolo e mezzo  non è stato sufficiente a porre fine alla "Questione Meridionale"??? Questo "benedetto" meridione, i propri mali, li ha almeno individuati?? Il GENERALISSIMO ci scosse, ci liberò e ci unì al settentrione.
Dopo un quarantennio e più avvertimmo il sacrosanto dovere di difendere l'Unità conquistata, combattendo, morendo nella prima guerra mondiale.
Il sacrario di Redipuglia è esempio di culto, di amor patrio, di onore, di forza e di italianità. Poi l'immigrazione, poi la Cassa del mezzogiorno adesso la Banca del Sud, a quando questa notte cederà all' aurora per poi lasciar sorgere un'alba???? Gran parte dei FRATELLI  mameliani del nord, per un ventennio a questa parte hanno gridato alla secessione, oggi si accontentano del Federalismo.... avranno anche le loro ragioni , ma non sanno che le loro ragioni sono le NOSTRE ragioni.
E' tempo che il Sud riguadagni il tempo ed il terreno perduto, Sud che è stato fautore e primo attore di rivolta allo straniero.
Tutto, proprio tutto è e sarà sempre tinto di BIANCO, ROSSO e VERDE.
VIVA  VERDI

Giuseppe Mozzi

L’ITALIA E’ DONNA,

lo dimostra il fatto che essa sia rappresentata dall’iconografia  di una statuetta femminile ,lo dimostra il fatto che dietro la sua nascita ,oltre a milioni di uomini ci sia la presenza  di donne ,anche se spesso non sono citate nei libri di storia e a loro viene riconosciuto ben poco . Le donne dell’unità ,le donne che sono scese in piazza a manifestare per i loro diritti in quei giorni ,erano donne appartenenti alla borghesia cittadina ,quella borghesia che rappresentava il cuore della mobilitazione . Molte di quelle donne si impegnarono  in prima persona all’attività cospirativa ,impegnandosi come giardiniere nelle carbonerie nella Giovane Italia . Tramite le sottane di queste donne coraggiose passavano sottoscrizioni ,proclami ,scritti patriottici o raccolte fondi . Mani di donna ,mani delicate e mani indurite dal lavoro ,mani insospettabili che hanno contribuito all’unificazione del regno. Molte di queste donne se la cavarono ,molte invece furono punite ed altre ancora esiliate . Donne di tutta Italia ,che per la prima volta ,dal nord al sud ,dal più piccolo paesino alla più grande città si univano ,si alleavano con gli uomini ,si schieravano in campo e combattevano ,donne che hanno sacrificato la loro vita ,la loro famiglia ,i loro affetti ,i loro sogni ,per presentarsi all’appuntamento più importante della storia ,l’appuntamento del 1861 che vedeva la nascita della nostra patria . Un particolare sguardo va posto alla storia di una grande donna dell’ Unità d’Italia : Adelaide Cairoli , una donna colta, una vera intellettuale dell’800 che ha saputo incarnare gli sviluppi delle coscienze femminili dell’epoca e che potremmo definire madre della Nazione. E madre lo è stata, effettivamente: dei grandi fratelli Cairoli, così cari al Risorgimento. Che il suo comportamento sia stato esemplare lo dimostra la storia. Nata nel 1806, a Milano, apparteneva alla famiglia del conte Bono ebbe la possibilità di condurre i suoi studi presso il collegio religioso Reale di Verona. A diciotto anni si sposa con Carlo Cairoli, già vedovo con due figli, di dieci anni più anziano di lei , da cui ebbe otto figli.  Donna colta e generosa, di grande religiosità, curò personalmente la cura e l’educazione dei figli indirizzandoli verso l’amore per la patria. La sua attività per l’Unità d’Italia si tradusse nel finanziamento di giornali patriottici e ospitando un salotto politico dove accoglieva uomini di cultura e politici. Intratteneva inoltre rapporti epistolari con molti intellettuali dell’epoca. Durante la guerra del risorgimento (in particolare nella spedizione a Roma) vede morire tutti i suoi figli, tranne Benedetto che diventerà Primo Ministro Italiano e che la seppellirà. Morta nel 1871 è stata sepolta a Gropello accanto la tomba del marito. Un monumento ne ricorda la memoria. Di lei Garibaldi disse:  “L’amore di una madre per i figli non può nemmeno essere compreso dagli uomini … Con donne simili una nazione non può morire”. Grazie a donne come queste che l’Italia è sopravvissuta e vive ancora ,forse saranno state donne radical chic , ma è proprio loro che dobbiamo ringraziare e magari fare della loro figura dei veri e propri idoli per le nostre future generazioni.

Natascia Nuccillo

IL PROBLEMA DEL MEZZOGIORNO E IL BRIGANTAGGIO DURANTE I PRIMISSIMI ANNI DELL’UNITA’.

Il quadro generale che si presentava all’Italia appena unificata era lo scarso rapporto tra i vari Stati preunitari. Erano inoltre mancati assolutamente i rapporti con il Regno delle due Sicilie, intorno al quale il re Francesco II aveva eretto una sorta di “muraglia cinese” (come dissero gli esuli napoletani fuggiti dal regno), dopo la rivoluzione del 1848. Fino al 1859 Cavour aveva creduto impossibile assimilare al nascente Stato italiano il Regno borbonico, né fino a quel momento aveva dimostrato particolare interesse verso gli altri Stati della penisola (non era mai andato più a sud di Firenze e si vantava di conoscere e di amare particolarmente l’Inghilterra). Questo difetto del conte di Cavour veniva sottolineato allora soprattutto da Massimo D’Azeglio il quale, riferendosi alla sua politica, affermava che si era “fatta l’Italia senza averla mai studiata né conosciuta”. Durante la prima fase del processo di unificazione Cavour aveva espresso l’intenzione di costruire l’Italia mediante un programma di decentramento e di autonomie, sulla falsa riga di quanto aveva già fatto in Piemonte. Sul finire del 1860, però, aveva già cambiato il suo atteggiamento nel procedere politicamente. Secondo il parere di numerosi storici, a modificare il suo atteggiamento erano state le tante informazioni che gli spedivano a Torino i suoi collaboratori dal Sud. Colui che esercitò maggiore influenza su di lui fu Luigi Carlo Farini, il luogotenente principale delle province napoletane. Prima ancora di arrivare a Napoli, il 27 ottobre 1860 da Teano (dove si era fermato per assistere all’incontro di Garibaldi con Vittorio Emanuele II) esprimeva nelle sue parole la profonda delusione dovuta all’incontro con un ambiente assai diverso da quello immaginato. Le sue parole al riguardo sono estremamente emblematiche: “Che paesi sono mai questi, il Molise e Terra di Lavoro! Che barbarie! Altro che Italia! Questa è Affrica: i beduini, a riscontro di questi caffoni, sono fior di virtù civile.”. Una volta giunto a Napoli, la situazione ai suoi occhi non cambiò, e Cavour continuava a ricevere lettere angosciate e scoraggiate per le condizioni di arretratezza generale che il suo corrispondente vi aveva trovato. Anche dopo la sostituzione di Farini e l’invio al Sud di altri funzionari, le cose rimasero sempre le stesse. Il conte si decise, così, di abbandonare definitivamente le idee di decentramento, perché  aveva capito che il “costume e lo spirito pubblico” erano così distanti tra le varie parti d’Italia che le diverse realtà non potevano essere in grado di autogovernarsi, a meno che non si volesse mettere a rischio l’unità nazionale. Fu così che con i primi decreti emanati dal primo ministro Bettino Ricasoli si sottolineava la necessità di forzare il processo di fusione degli italiani e soprattutto del Mezzogiorno, e si adottò definitivamente l’accentramento amministrativo. Nel Meridione si manifestavano così le prime tendenze autonomistiche, che vanno interpretate anche come una protesta contro gli errori dei primi governi provvisori che avrebbero dovuto gestire la transizione. Il primo di questa serie di errori era stato commesso proprio dallo stesso Farini, il quale aveva chiamato a far parte del consiglio di luogotenenza anche gli esuli del 1848. Questi non solo non conoscevano le loro terre, in quanto le avevano abbandonate più di dieci anni prima, ma vi si erano distaccati a tal punto che molto spesso esprimevano giudizi di disprezzo. In tutto ciò il governo era intenzionato a operare con rapidità nel processo di integrazione dell’ex Regno borbonico, con il mantenimento della pubblica sicurezza e l’introduzione di una serie di lavori pubblici volti ad attenuare la disoccupazione.
Fu in questo quadro sociale e politico che si verificò l’esplosione del brigantaggio, che costituì un grave pericolo per l’Unità. La delusione delle masse contadine per il mancato mantenimento delle promesse di Garibaldi di un immediato miglioramento si unì al disfacimento dell’esercito borbonico, i cui soldati si ribellarono o perché rimasti fedeli al Borbone oppure perché volevano evitare le norme per la leva obbligatoria indette dal neonato governo italiano. L’ex re delle due Sicilie Francesco II intendeva servirsi dei briganti per riconquistare il regno perduto.
Questo fenomeno poneva il gravissimo problema dell’immagine di un’Italia debole e fragile nei confronti degli altri Stati europei. Era di fondamentale importanza mostrare all’Europa che il brigantaggio non costituiva un pericolo per la stabilità nazionale. Si decise allora di ricorrere alla forza, che appariva all’epoca per la maggioranza del parlamento l’unico rimedio possibile. Agli ordini del generale Enrico Cialdini, luogotenente a Napoli, furono inviati 50mila uomini. Agli assalti e alla ferocia dei briganti, l’esercito nazionale rispose con altrettanta violenza. Ci furono molti morti; sotto questo aspetto bisogna ricordare l’episodio di Pontelandolfo e Casalduni, due paesi nella provincia di Benevento, che vennero completamente distrutti da un distaccamento dell’esercito, come risposta alle azioni commesse dai briganti, sostenuti dagli abitanti del luogo. Nel frattempo, nel novembre 1861, Cialdini fu sostituito dal generale Alfonso La Marmora. Vennero inviate, sotto il suo comando, ulteriori truppe tanto da raggiungere 70 mila unità. Nonostante l’ingente numerosità dell’esercito messo a sua disposizione e i poteri straordinari conferitogli, questa triste piaga continuava ad imperversare nelle campagne. La legge Pica, approvata nell’agosto del 1863, inflisse un duro colpo e contribuì al dissolvimento del brigantaggio. Questa legge, che prese il nome dal deputato che la propose, stabiliva nelle province dichiarate in “stato di brigantaggio” che i tribunali militari avrebbero dovuto occuparsi della giustizia, e alle giunte provinciali conferiva il potere di assegnare il domicilio coatto a “oziosi, vagabondi, camorristi” e a chiunque fosse sospettato di sostenere i briganti.
Qualche numero: le bande accertate (con un numero variabile da 5-10 persone a 100), furono 388; i briganti uccisi (dal 1861 al 1865) furono 13.853.

Antonio Marcello

NASCITA DI UNA NAZIONE

Dopo la caduta di Napoleone I, il famoso Congresso di Vienna nel 1815, volle ristabilire lo status quo con questa suddivisione:
·        Regno di Sardegna: Savoia, Nizza, Piemonte, Sardegna ed inglobando il territorio della Repubblica di Genova, confermato ai Savoia nella persona di Re Vittorio Emanuele I;
·        Regno Lombardo - Veneto: comprendente la Lombardia, con Mantova, il Veneto con Venezia, sotto l’amministrazione diretta dell’Impero d’Austria;
·        Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla: concesso in appannaggio a Maria Luisa d’Absburgo-Lorena, già moglie di Napoleone I e figlia dell’Imperatore d’Austria, col patto che alla sua morte lo Stato sarebbe ritornato ai legittimi sovrani, i Borbone;
·        Ducato di Modena, Reggio e Mirandola: lo Stato fu ereditato dal duca Francesco IV d’Absburgo-Lorena-Este, figlio dell’ultima discendente estense e da parte di padre, primo cugino dell’Imperatore Francesco I d’Austria, si era sposato con Maria Beatrice di Savoia, figlia del Re di Sardigna;
·        Ducato di Massa e Principato di Carrara: furono assegnati in vitalizio a Maria Beatrice d’Este, madre del duca di Modena, con la clausola che alla sua morte lo Stato sarebbe stato annesso al Ducato di Modena;
·        Ducato di Lucca: venne concesso alla famiglia dei Borbone di Parma, nella persona della duchessa Maria Luisa e del figlio Carlo Ludovico, in attesa di ritornare in possesso del Ducato di Parma e Piacenza alla morte di Maria Luisa d’Austria, poi annesso al Granducato di Toscana;
·        Granducato di Toscana: ritornò a Firenze la “tertur-genitur” austriaca degli Asburgo, nella persona del granduca Ferdinando III di Lorena, fratello cadetto dell’Imperatore d’Austria Francesco II;
·        Stato Pontificio: comprendente Lazio, Umbria, Marche e le Romagne, con città principali: Roma, Ancona, Bologna, Ferrara, sotto la sovranità del Romano Pontefice pro – tempore;
·        Regno di Napoli e Sicilia (dal 1816 Regno delle Due Sicilie): con il confine a Nord del garigliano, comprendeva tutto il Mezzogiorno italiano, ivi compresa la Sicilia, ritornò a re Ferdinando IV di Borbone, poi Ferdinando I delle Due Sicilie.
L’Austria ritornò ad essere la Potenza egemone della Penisola, sia direttamente, controllando il Lombardo-Veneto, sia indirettamente con rami minori della sua famiglia imperiale a Modena e Firenze, ma anche i sovrani degli altri Stati italici erano comunque, sottoposti ad una sovranità limitata, per i  vincoli matrimoniali con Vienna. Naturalmente questi 7 Stati, contando che Massa e Lucca vennero poi inglobate in altre entità, avevano diverse legislazioni, codici, amministrazioni, moneta, ecc., ed a differenza degli Stati germanici, i quali erano riusciti nel 1815 a formare una “confederazione” tra di loro, i nostri “staterelli” non riuscirono mai prima del’Unificazione a giungere ad una parvenza di confederazione, federazione o quant’altro, dilaniati fra le solite gelosie sovrane e con la Chiesa che non ambirà mai a proporre una vera Unità! Fu l’eredità rivoluzionaria francese, a “seminare”, dunque nei cuori e nelle menti di alcuni strati della società civile italiana, militare prima e borghese poi, quei sentimenti che in mezzo secolo portarono un Paese diviso da secoli sul cammino dell’indipendenza e dell’unificazione. I patrioti sperarono dapprima tra il 1831 ed il 1834 di affidarsi a re Ferdinando II di Borbone, ma il suo paternalismo autoritario mal si conciliava con la sete di libertà, non solo, si rivelò il sovrano borbonico degno erede della sua stirpe, pronta ad assecondare e poi a tradire le speranze della società meridionale, la quale fu la prima tra il 1820 ed il 1821 a chiedere una carta costituzionale; come nel 1848 partirono dalla Sicilia per proseguire a Napoli le istanze per un governo democratico, sempre e comunque soffocate nel sangue dal regime di Ferdinando II. Ecco quindi che le “speranze d’Italia” trovarono nel Piemonte di Carlo Alberto e poi in quello del successore Vittorio Emanuele II, nuova linfa per costruire una Nazione unita dalle Alpi alla Sicilia. Fu un processo con dei limiti, certo, ma non possiamo negarvi la partecipazione non solo di una minoranza colta e borghese, ma anche del popolo, dei giovani, delle donne. Tutti si sacrificarono da Nord a Sud per la Patria. Fu grazie all’apostolato di Mazzini, al coraggio di Garibaldi, all’intelligenza di Cavour, alla caparbietà di Vittorio Emanuele, se l’Italia arrivò, seppur in ritardo, nel “concerto delle Potenze” europee, con mille problematiche, certo, ma anche con lo spirito del sacrificio dei fratelli Bandiera, di Pisacane, dei martiri di Belfiore, del Cilento, ecc. Continuare a “sparare” sul Risorgimento e sui suoi protagonisti non aiuta certo, alla luce di nuovi documenti, a comprendere che il processo unitario seppur con molte problematiche era ormai necessario e vitale per far sì che “un Paese di morti” (Lamartine), “un’espressione geografica” (Metternich), diventasse al parti degli altri grandi Paesi europei, una sola entità: politica, economica, sociale, culturale. Anche l’espressione “fatta l’Italia, ora bisogna fare gli Italiani”, erroneamente addebitata a Massimo d’Azeglio, venne coniata nel 1896 dal senatore Ferdinando Martini in altro contesto lessicale, semmai “fatti gli Italiani, bisognava fare l’Italia”… Persistere ad accusare il Risorgimento e l’unificazione dei mali odierni del Mezzogiorno, significa non avere letto bene la storia, quella con “S” maiuscola, né tantomeno gli scritti di studiosi e storici: da Giuseppe Galasso e Sergio Romano, da Lucio Villari al compianto mio maestro Alfonso Scirocco, scomparso da pochi mesi. E’ un quarto di secolo che tento, di illustrare in convegni, conferenze, scritti, la grande stagione risorgimentale, che fu principalmente una vera e propria “rivoluzione” non solo politica ma culturale e sociale, coinvolgendo strati di popolazione fino ad allora emarginata e costretta all’esilio, alla prigionia, al patibolo…Nessuno vuole demonizzare i Borbone, hanno avuto molte qualità che col tempo tuttavia sono andate disperse in un “paternalismo” inadeguato a rispondere alle nuove realtà della società meridionale, le quali nonostante i controlli di Polizia, anelavano a seri cambiamenti costituzionali e riformisti.
I lettori del “Sassolino” devono sapere che la principale impresa economica del Regno delle Due Sicilie pre-unitario era la Chiesa, con un clero che numericamente superava di gran lunga quello di un Paese molto più grande come la cattolicissima Francia! Il patrimonio ecclesiastico ammontava a ca.40 milioni di Lire dell’epoca! Al clero era appaltata anche l’istruzione pubblica, infatti l’analfabetismo nel Sud era dell’86% con punte del 90% in Sicilia, terra mai amata dai Borbone. Tra il 1830 ed il 1859 gli anni di regno di Ferdinando II, la spesa pubblica fu irrisoria. Nel 1858, ultimi dati contabili certi, su un attivo complessivo di 32.800.000 ducati, lo Stato borbonico ne spese per opere pubbliche appena 2.216.000 a fronte di 11.911.000 per il mantenimento delle forze armate e dei reggimenti mercenari di bavaresi e svizzeri a tutela della famiglia reale! Indigenti i quartieri popolari della capitale, Napoli, la quarta metropoli d’Europa, gli ospedali erano così fatiscenti che gli stessi poveri della città si rifiutavano di ricoverarsi! Per le nozze del duca di Calabria Francesco con Maria Sofia di Baviera, il governo decise di tagliare i fondi per la Sanità onde coprire le ingenti spese. Su 1.828 comuni napoletani, ben 1.431 non erano collegati viabilmente tra loro; esistevano in un Reame così esteso solo tre strade postali! Alla vigilia dell’Unità, vi erano solo 125 Km di ferrovie, nonostante il Paese avesse avuto il primato della prima ferrovia italiana, questi pochi chilometri collegavano solo alcuni siti regi e re Ferdinando II aveva vietato alle locomotive di procedere sotto eventuali gallerie per timore di attentati! L’assenza di adeguate opere pubbliche ritardò pesantemente l’adeguamento del Sud al resto dell’Italia. Nel 1864 la linea ferroviaria adriatica collegò Bari a Bologna seguita da altri tratti nel volgere di pochi lustri, onde consentire anche alle regioni del meridione di usufruire di questa importante innovazione sia dal punto di vista economico che sociale. Su 9 milioni di abitanti, gli studenti del Regno erano solo 66mila!, un terzo dei comuni era sprovvisto di scuole primarie. Lo storico Paolo Macry osserva: “E’ clamoroso il gap che divide Napoli tanto dai grandi centri burocratici, dalle altre ex capitali, dalle città dello sviluppo economico, quando da numerosi centri di taglia media e con forti caratteri rurali, come può essere il caso di Bologna”. Per quanto riguarda l’agricoltura, in ingegnere borbonico, Carlo Afan de Rivera scriveva nel 1833: “Dacchè le nostre pianure e specialmente quelle in riva al mare rimasero spopolate ed incolte per effetto delle calamità politiche, cessò affatto l’industria dell’uomo nel regolare il coro delle acque che le attraversavano. Nel tempo stesso i disboscamenti e dissodamenti operati ne’ monti (dalle popolazioni ritiratesi ad abitare là), grandemente contribuirono a disordinare l’economica delle acque stesse che devastarono le sottoposte pianure”. La tanto decantata industria pre-unitaria del Sud, viveva esclusivamente sotto l’ombrello protezionistico delle commesse statali, in un mercato, quello europeo, il quale aveva abbandonato tale politica da decenni.
Come affermò l’economista e futuro Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, in riferimento alla politica fiscale borbonica, “…Troppa essere la predilezione per le imposte sui consumi e sommo il timore di scontentare i ceti medi con le imposte sulle professioni, sui commerci e sulle industrie…Le segretezza dei documenti finanziari; le cause del debito pubblico napoletano (meno consistente di quello piemontese) ma dovuto alle spese di occupazione di soldatesche straniere accorse nel Regno a ristabilire e difendere la dinastia, la inconsistenza delle opere pubbliche intese a crescere la potenza economica del Paese…Non esiste documento storico il quale possa essere a maggior ragione ricordato dai teorici delle finanze a sostegno delle tesi che le imposte gravavano sui popoli solo quando sono estorte da governi oppressori ritornati sulle punte delle baionette straniere, com’era il governo borbonico…”. Un’attenta e critica  analisi del sistema finanziario dei Borbone fu descritto con dovizia di particolari da Giovanni Carano-Donvito, collaboratore di Piero Gobetti, nella quale pose in luce come l’ex governo napoletano “…se poco chiedeva ai suoi sudditi, pochissimo spendeva per essi e questo pochissimo spendeva anche male…”. Secondo gli studiosi del credito, Muzzioli e Demarco, “…la penuria di piazze bancabili era anche responsabile, insieme alla scarsa mobilità dei capitali, del ristagno nella circolazione della moneta. Si calcola che all’unificazione la circolazione monetaria delle province napoletane fosse doppia di quella di tutto il resto d’Italia”. Brigantaggio e camorra furono sempre al “soldo” del governo borbonico che utilizzava questo “cancro” a proprio uso e costume in determinati periodi, anche per controllare i sovversivi ed i liberali!
Il patriota e letterato molisano, Gabriele Pepe, affermava: “Quando si parla dell’Italia meridionale e delle regioni circostanti Roma, non bisognerebbe mai dimenticare che si parla di paesi nei quali il brigantaggio è stato endemico per secoli; dove, a dirla con schiettezza, il brigantaggio era una classe sociale e il capo brigante una forza contesa dai politici”. Un’intera generazione di intellettuali, giornalisti, politici, ecc., chiamati in modo dispregiativo da Ferdinando II, “pennaruli”, furono costretti a lasciare le proprie famiglie e case, trovando “rifugio”, primo esempio di emigrazione integrata, proprio nel tanto “odiato” Piemonte sabaudo, ove venne votata il 16 dicembre 1848 la prima legge a favore degli immigrati provenienti dalle altre regioni italiane.
Viva l’Italia ora e sempre!                                                                             

Giuseppe Polito

GUIDA NELLA STORIA D’ITALIA

Ben ritrovati cari lettori. L'Italia ha da poco compiuto 150 anni. O meglio, dall'unificazione (presunta o tale che sia) del nostro paese sono trascorsi 150 anni. Questo numero, l'ottavo, è dedicato esclusivamente a questo evento. Ci abbiamo lavorato molto a questa edizione per offrirvi una panoramica ben definita sull'Unità nazionale. Si parte con una significativa frase di Mazzini sull'amor di Patria, per proseguire con un articolo di Giuseppe Polito che traccia le varie suddivisioni dell'Italia in quel tempo. Successivamente Antonio Marcello ci descrive una situazione non certo brillante e rosea per il Sud Italia, situazioni che non troviamo sui testi storici e che, ahimè, vengono nascoste ed omesse. Poi Natascia Nuccillo sottolinea il ruolo della donna con alcune donne coraggiose che si sono contraddistinte. Infine troviamo delle opinioni di Vincenzo Minichino e di Giuseppe Mozzi. Vi auguriamo una buona lettura.

Andrea De Luca

LE PAROLE DI MAZZINI SULL’AMOR DI PATRIA

L’11/09/2009 su Il Mattino viene pubblicato un articolo del nostro concittadino Pasquale Fusco. Riproponiamo le parole del grande Mazzini tratte appunto da quell’articolo per aprire questo numero de Il Sassolino dedicato interamente all’anniversario dei 150 anni dall’Unità d’Italia.
 la Patria è come la vita. La Patria è la vita del Popolo. Dio ve la diede; gli uomini non possono a modo loro rifarla. Gli uomini possono, tiranneggiando, impedirle per breve tempo ancor di sorgere. Ma non possono far ch’essa sorga libera, oppur diversa da quel ch’essa è. Dio che creandola sorrise sovr’essa, le assegnò per confini le due più sublimi cose ch’ei ponesse in Europa, simboli dell’eterna forza e dell’eterno moto, l’Alpi e il Mare. Sia tre volte maledetto da voi e da quanti verranno dopo voi qualunque presumesse di segnarle confini diversi”.

La redazione

Il Sassolino nella scarpa - Num.7 Anno1 (Febbraio 2011)

Pensavamo che la sigla ASI identificasse l’Area a Sviluppo Industriale… Dopo l’incontro avuto con parte dell’amministraione abbiamo capito che ne identifica anche le linee politiche e programmatiche…
Approssimative e Senza Iniziative.

IL PAESE DI LELE’

Ricordo, quando ero ragazzo e come tuttora amante del calcio, il Brasile si identificava nel nome del suo grande asso di tutti i tempi: Pelè. Oggi mio malgrado scopro di vivere nel paese di Lelè. E' davvero triste la storia  che vede coinvolto il nostro capo del governo, ma reputo ancor più triste che alla regia di questi nefandi sollazzi del presidente ci sia un personaggio come Mora. Passi pure che ad Arcore e a palazzo Grazioli allietano le serate del premier donzelle di facili costumi, ma che imperi la presenza di un faccendiere come Lele Mora , procacciatore di escort, al millennio PUTTANE, mi da un forte senso di squallore. Mora come Corona sono delle personcine fatte addivenire personaggi da gente viziosa , ricattabile e con poco decoro. Dopo averlo appoggiato nel passato , anche se indirettamente, col voto, adesso pur non essendo più disposto a farlo, avverto il dovere di tendere una mano seria al presidente, esortando a chi gli è più vicino, come qualche anno fà fece la sua ex moglie attraverso i giornali, di curarlo, di redimerlo, perchè a Silvio gli è partita la "brocca"!
Ps: Il Brasile è un grandissimo paese, non solo per Pelè s'intenda!!!!!! Come per L'Italia, solo c'è bisogno che ci si svegli dal "torpore" politico e sociale degli ultimi decenni.

Giuseppe Mozzi 

NUOVI ORIZZONTI POLITICI DI GOVERNANCE (?)

Giorni fa ho avuto modo di sfogliare il vostro giornalino e, tra gli articoli presenti, mi sono soffermato su uno in particolare ,quello riguardante la  prossima apertura  a Pietramelara di una sede distaccata della Comunità Montana del Montemaggiore. Finalmente un servizio utile per il nostro territorio,  non solo per il comune di Pietramelara ma per tutti gli altri comuni limitrofi e questo sicuramente grazie all’impegno della Amministrazione  locale , soprattutto grazie all’impegno dell’Assessore Roberto Izzo. Io che abito nel vicino comune di Roccaromana non posso che apprezzare questa iniziativa. Ho potuto anche leggere che Pietramelara dopo 16 anni  (se non sbaglio) ha un Assessore alla Comunità Montana, un bravo assessore che è riuscito anche ad ottenere l’apertura della suddetta sede nel proprio comune. Complimenti! Al contrario di altri comuni (Roccaromana, senza fare nomi) che, oltre a perdere l’assessorato alla Comunità Montana, non sono mai riusciti ad avere una sede distaccata ne tanto meno a mantenere i servizi già esistenti (sede inps, sportello pari opportunità, centrale di telesoccorso, sede catasto,  sede confartigianato, punto vaccinale ecc). Quando si dice “nuovi orizzonti politici di Governance!”, grazie ai quali hanno portato il mio paese a passare da capofila dei servizi a capofila della salvaguardia delle proprie “identità  contadine”!.

Livio Di Zazzo  - Roccaromana

LE GROTTE DI SEIANO - Il Sassolino nella Cultura - Num.7 Anno1 (Febbraio 2011)

La nostra terra è ricca di reperti di antichità, resti che possono dimostrare come, in epoche passate, esisteva una vita intensa e produttiva. Vogliamo portare a conoscenza di tutti le informazioni che abbiamo acquisito sui diversi luoghi sui quali ci siamo recati personalmente, in modo da valorizzare ulteriormente il nostro territorio e diffondere una idea di conoscenza e conservazione del patrimonio.
A partire da questo mese comincerà in questa rubrica un percorso che intraprenderà lo studio delle nostre ricchezze culturali attraverso varie tappe. Ogni mese se ne ripercorrerà una.
Prima tappa: le Grotte di Seiano.
Risalenti al II-I secolo a.C., si trovano sul cosiddetto Monte Castellone. Si tratta di resti di una villa rustica  romana costruita durante l’ultima età che, repubblicana. La villa rustica era, per gli antichi romani, la casa rurale, il luogo della propria dimora e il centro posto sul terreno agricolo dal quale dipendeva, quasi totalmente, la loro economia. Da queste ville i proprietari partivano per andare in città, per adempiere i propri doveri di cittadino o per svolgere altre attività. Vari autori come Varrone elencavano al buon cittadino romano i giusti criteri per la loro costruzione, ovvero scegliere preferibilmente un luogo collinare, ben ventilato e salubre, esposto al sole di mezzogiorno e del tramonto, con boschi alle spalle e circondato da terreni atti alle coltivazioni che si intendeva impiantare (vigne, orti, oliveti, campi da cereali ecc…), tenendo ben presente che era indispensabile la non lontananza dalla città e la vicinanza ad una buona strada. Infine la villa doveva essere abbastanza capiente per contenere la famiglia, gli schiavi, gli strumenti di lavoro, gli animali e il raccolto. Chiusa questa breve descrizione generale, nel corso degli anni sono circolate diverse leggende sulle Grotte di Seiano, alcune delle quali affermano che siano ingressi di profondi cunicoli che portano a Capua o nel castello di Roccaromana. Sicuramente sono state vitali anche nel Medioevo e sono state abitate fino a qualche decennio fa; se ne ha la prova nell’edificio rettangolare poco distante, riutilizzato come abitazione rurale. Sul luogo sono presenti una serie di mura megalitiche, cioè mura costituite da grossi blocchi di pietra posti gli uni sugli altri, che racchiudono le grotte ed alcuni ruderi di edifici adiacenti ad esse. La struttura è formata da nove gallerie sotterranee le quali ricoprono una superficie quadrata i cui lati misurano 30 metri, sono suddivise da 7 muri divisori e poggiano su 56 pilastri. A causa della presenza di detriti non è possibile vedere com’è fatto il pavimento. Tutti questi accorgimenti, come già in passato hanno confermato alcuni studi, inducono a pensare che quasi sicuramente si tratta di una cisterna, adibita alla raccolta dell’acqua. La presenza dei sette muri mediani ne verificherebbe l’autenticità, in quanto venivano eretti con lo scopo di mantenere le acque divise in modo da tenerle pure. L’acquisizione del terreno da parte del Comune potrebbe favorire uno scavo che sia in grado di consegnare reperti importanti per lo studio e la comprensione della vita durante l’età romana in nelle nostre località. Bisogna sottolineare che, negli ultimi anni, la Comunità Montana (per quanto riguarda l’ordinaria amministrazione) ha tenuto e tiene frequentemente pulita questa zona ed ha ripristinato gli antichi sentieriattraversando la montagna, conducono alle Grotte. L’auspicio è che, continuando su questa strada, si possa rendere questo posto più interessante di quanto lo sia adesso, munendolo magari di relativa segnaletica (che ne indichi il nome e notizie di carattere storico) ed inserendolo all’interno di una serie di percorsi storici che ripercorrano la vita degli antichi alle pendici del Monte Maggiore.

Antonio Marcello

Il Sassolino della Regina - Num.7 Anno1 (Febbraio 2011)

Cari sassolini, la notizia non deve sorprendere: un quindicenne su 5, nel nostro Paese, è semianalfabeta, ossia privo “delle capacità fondamentali di lettura e di scrittura”. A certificare questo è la Commissione europea, la quale ha incaricato un gruppo di esperti ad individuare metodi per migliorare i livelli di alfabetizzazione. Le lacune emerse in lettura, rendono per i nostri giovani “più difficile la ricerca di un lavoro e li pone a rischio di esclusione sociale”. L’Italia nei test effettuati dall’Ocse-Pisa nel 2010 e pubblicati poche settimane orsono, registra il 21% di quindicenni con “scarsi risultati in lettura”. Se i nostri ragazzi li paragoniamo ai loro coetanei di Danimarca, Paesi Bassi, Svezia, Finlandia, siamo lontani anni luce! Davanti a noi ci sono pure la Francia, la Germania, il Regno Unito, la Spagna e perfino il Portogallo! Questi dati evidenziano la fragilità della nostra scuola, dei suoi contenuti,  degli insegnamenti e della cultura in generale,  in una società ove l’informatica è “regina”: dai computer ai cellulari e quant’altro. Nonostante tutto, comunque si rimane “ignoranti”. Leggere, leggere, leggere, non importa cosa ma leggere! Osservando i nostri ragazzi quando al mattino escono di casa tutti “griffati” dalle scarpe alle felpe, dai quaderni alle matite, agli zaini “alpini”, ecc., noi genitori siamo contenti! Eppure basterebbe conoscere l’altra faccia della medaglia, ovvero, del mondo…I giovani che protestano nelle strade de Il Cairo, Tunisi e Algeri, nella maggior parte sono laureati e conoscono perfettamente almeno una lingua straniera per esempio, anche se non sono “griffati”, anzi! Nell’Estremo Oriente, in Cina, India, Bangladesh per non parlare di molti Paesi africani, molti studenti vanno a scuola scalzi, con le loro semplici divise, ma negli ultimi decenni questi ragazzi del cosiddetto “Terzo o Quarto mondo” hanno conosciuto un’elevata alfabetizzazione. Sono tra  i migliori al mondo nelle materie scientifiche e nella conoscenza delle lingue. Hanno “fame” di sapere, cosa che i nostri ragazzi non hanno. Non hanno corredi scolastici di moda ma sanno leggere, scrivere, far di conto, parlare correttamente l’nglese. In questo 2011, nel 150° anniversario della proclamazione del Regno d’Italia, sarebbe bello voltare pagina ed impegnarci tutti: famiglia, scuola, istituzioni, affinchè i nostri figli non finiscano gli studi più analfabeti di prima! Quindi il consiglio di lettura di questo mese è: ogni giorno leggete due pagine di un qualsiasi dizionario della Lingua Italiana. Buona lettura!

Giuseppe Polito

RESOCONTO DELL’INCONTRO CON IL SINDACO LEONARDO E IL CONSIGLIERE DI MAGGIORANZA BUCCIERO

Giorno 2\2\2011 abbiamo tenuto un incontro con alcuni esponenti dell’attuale amministrazione su 4 temi cardine: Acqua, ASI, Commercio e Centro storico. L’incontro, tutto sommato, può dirsi non essere andato male, anche se non abbiamo ricevuto in toto le risposte che ci attendavamo.

Partiamo con il punto in cui abbiamo riscontrato maggiore convergenza d’opinione con il Sindaco, l’Acqua. Entrambe le parti hanno ritenuto importante ribadire un concetto: l’acqua è un bene privo di rilevanza economica; successivamente, entrambe le parti, hanno preso atto dei problemi idrici che ci sono stati e ci sono tutt’ora: carenza di pressione d’acqua nelle abitazione dal secondo piano in su, la mancanza di un regolamento d’utenza che disciplini il servizio idrico attualmente in gestione a privati, la questione abbastanza ambigua in riferimento alla bollettatura, attualmente quadrimestrale, che dovrebbe essere, convenzione alla mano, trimestrale (ricordiamo che il contratto scade nel 2013). Buoni, a nostro avviso, i provvedimenti presi dall’amministrazione per tamponare l’emergenza: costruzione di nuovi pozzi e di strutture di sollevamento delle acqua. Altro tema di convergenza piena è il voto referendario;  esplicita e pubblica, infatti, la posizione del primo cittadino riguardo al tema acqua e nucleare: SI acqua pubblica, No nucleare. Dato shock che ci ha fatto riflettere e che abbiamo appreso durante l’incontro è quello riguardante la perdita d’acqua che attualmente colpisce la nostra rete idrica: si parla infatti del 40%-60% di perdite.
Secondo tema su cui c’è stata una sorta di convergenza è quello del Centro storico. Tutti siamo stati concordi nel credere che si necessiti di 2 cose: 1 capire cosa voler fare del Borgo e quali piani e progetti portare avanti; 2 una volta chiara l’idea, il progetto, capire come fare per appropriarsi delle abitazioni in stato di degrado che dovranno essere ristrutturate. L’idea è pressocchè simile: rintracciare tutti i proprietari delle abitazioni del Borgo, parlargli, mettere in sicurezza le case in degrado attraverso fondi privati e\o misti, finanziare un progetto ampio che coinvolga vari settori, da quello artistico a quello professionale, da quello culturale a quello enogastronomico in modo da far rivivere il paese alto. Tutto ciò, come ci ha fatto notare qualche nostro simpatizzante, per un semplice e chiaro motivo: il nostro, a differenza di quelli a noi vicini, è un borgo facente parte del tessuto urbano del paese intero e quindi non può essere lasciato lì a morire nel più assordante silenzio. Il nostro borgo è costituito da centinaia di piccole casucole, da decine di grandi e maestosi palazzi, insomma, un paese nel paese stesso, un quartiere che non può essere abbandonato per poi ritrovarci tra qualche decennio con un mucchio di ruderi…
Terzo punto della discussione il Commercio. Qui la convergenza è stata su un solo punto, il mercato domenicale. Come molti sapranno, tempo fa, qualcuno cavalcava l’idea di riportare il mercato domenicale nel centro storico: tale posizione è stata esclusa nettamente da entrambe le parti per varie ragioni. Punto su cui ci si è trovati in disaccordo quasi totale è la necessità di dotarsi di un testo unico che regolamenti il commercio in toto, pianificando le zone e quant’altro: il cosiddetto SIAD. L’amministrazione attraverso le due persone presenti all’incontro, ha ribadito il concetto per il quale, a loro avviso, questo “testo unico” sia inutile. Noi, come circolo politico, siamo favorevoli all’adozione del SIAD per un semplice motivo: il SIAD, se inserito in una visione che comprenda un PUC, una zona ASI attrezzata e valorizzata, un’area PIP attrezzata e valorizzata e un piano della viabilità ben fatto, a nostro avviso sia un ulteriore mezzo per avere un paese con ottime prospettive future.
Infine il tema ASI. Riguardo la zona ASI sono stati pochi i punti argomentati in quanto il rappresentante dell’amministrazione non ci ha riferito molte cose, e quindi non abbiamo potuto farci un’idea ben chiara sulle linee di sviluppo che ha in mente l’attuale maggioranza consiliare. Insomma, l’impressione che abbiamo avuto su questo punto è che l’attuale amministrazione non stia facendo il possibile per valorizzare quest’area e che non sappia con certezza quali siano gli obiettivi che si prefigge.

Spiazzati gli esponenti dell’amministrazione presenti all’incontro sulla linea programmatica triennale e annuale delle opere pubbliche del consorzio ASI Caserta (su cui non hanno saputo darci informazioni).Il piano, nell’elenco annuale fino al 2010, prevedeva interventi di realizzazione di infrastrutture stradali, costruzione di una rete idropotabile, di una rete fognaria e di due impianti di depurazione in agglomerato industriale. Di tutti questi interventi i due esponenti presenti non ne sapevano assolutamente nulla. Questo il sunto dell’incontro avuto giorno 2\2\2011 con l’amministrazione, incontro che sarà seguito da altre “chiacchierate” su altri temi. Possiamo già anticipare infatti che a breve ci sarà un incontro in cui si discuterà di: Urbanistica e Viabilità, “Circumvallazione” e di Dissesto idrogeologico.

Francesco Ruzzo
Presidente del circolo IdV Pietramelara in Movimento

“EFFETTO” SASSOLINO ?

Con l'ultimo numero del nostro volantino, quello di Gennaio, sono aumentati notevolmente i nostri lettori e simpatizzanti. Lo percepiamo ogni giorno per le strade, nei bar, nelle chiacchierate tra amici e su Facebook. Questo ci fa enormemente piacere, anche perché ci fa capire che stiamo facendo bene. Le cose che diciamo non sono campate in aria, ma sono cose condivisibili o meno e sempre attinenti alla nostra realtà locale. Lo diciamo senza presunzione ovviamente. Ancor più soddisfazione proviamo quando temi sollevati nel nostro volantino vengono ripresi da parte dell’opposizione e parte della maggioranza, temi e articoli specifici che vengono presi in considerazione e da lì si avviano discussioni importanti all’interno di altri gruppi politici locali. Il riferimento va subito ad un articolo apparso qualche settimana fa su un quotidiano locale ed aveva come oggetto il Gruppo consiliare di minoranza, Uniti per Rinascere. Una frase su tutti ci ha colpito: “Il gruppo dovrà mettere a punto un programma di governo che possa essere vicino alle esigenze della popolazione del territorio”. Nulla di presuntuoso, ma questo articolo e questa frase sono stati pubblicati a distanza di qualche giorno dall’uscita del sesto numero del nostro volantino in cui era pubblicato l’articolo “non tutte le critiche vengono per nuocere”, a firma del Presidente dell’ass. di base IdV locale – Pietramelara in Movimento, Francesco Ruzzo. Ruzzo in questo articolo, come qualcuno ricorderà, sottolineava per l’appunto il dovere da parte di tutte le forze politiche locali di pensare meno al posto di prestigio e più alla programmazione visto il decadimento sociale e culturale che sta attraversando il nostro piccolo paesino. Non abbiamo la certezza se sarà stato un caso o una coincidenza, resta il fatto che questo non può che non farci piacere.
 
Andrea De Luca

Il Sassolino nella scarpa - Num.6 Anno1 (Gennaio 2011)

Nuovo look per i vialetti del cimitero. Si intende riqualificare le stradine interne alla struttura.

Chissà se nel capitolato di spesa ci può entrare anche la pulizia e l’igienizzazione delle strade del centro storico, del resto anche lì in alcuni giorni …. Non si vede un’anima Viva.